Zebar

DIGITAL CONCEPT, ANALOGICAL OUTPUT
live bar in Shanghai

Francesco Gatti lavora su un repertorio di operazioni plastiche eterogeneo. Dal 2004 ad oggi ha scolpito oggetti prismatici, tessuto soffitti invisibili, piegato origami, scavato antri e realizzato luoghi anti-gravitazionali.
In ogni progetto la scelta di un’unica soluzione formale è stata accostata alla risoluzione di un tema programmatico, ospitato nella natura stessa della configurazione architettonica. Quando, nel 2006, il progettista riceve l’incarico per la progettazione dello Ze Bar, i due committenti (un regista cinematografico e un musicista) gli richiedono una soluzione flessibile e d’impatto, da realizzare in tempi stretti. Gatti propone uno spazio generato digitalmente, un vuoto realizzato sottraendo un volume bloboidale da una sequenza composta di centinaia di pannelli verticali. La forma della cavità, fatta di contrazioni e alcove, deve contenere e gestire tutte le potenziali funzioni ospitabili all’interno del locale (concerti, pub, disco, intrattenimento, consumazione, proiezioni).
La stessa sagomatura del vuoto prevede una continuità totale tra le superfici verticali e orizzontali, e alcuni eventi specifici (cambi di direzione o insenature) capaci di creare lo spazio necessario alla collocazione delle sedute.
Per ottenere la sequenza di elementi verticali Francesco Gatti impiega dei pannelli in cartongesso, che vengono tagliati in opera secondo le sezioni progressive del disegno digitale. La cavità, così come immaginata dall’architetto, non può essere realizzata all’occidentale, vale a dire sagomando i pannelli con delle macchine a controllo numerico.
Così il progettista, durante la fase del cantiere, proietta in successione le sagome dei pannelli da tagliare, ottenendo un effetto simile a quello immaginato digitalmente, ma realizzato a mano.

Testo di Giampiero Sanguigni